Lettera dal confine birmano. Il concerto per la resistenza in Myanmar
Lettera dal confine birmano
Il concerto per la resistenza in Myanmar
Andrea Castronovo
La vita al confine per i birmani è una costante lotta contro la discriminazione, la corruzione, gli arresti, e le violenze della polizia thailandese. Nulla è garantito, nulla è concesso. Tutto deve essere conquistato di nascosto, nel buio delle strade secondarie. Deve essere letteralmente strappato con la forza. Ogni giorno, quando si è per strada, in un ristorante, oppure in casa di un amico, è ormai dato per scontato che si possa essere arrestati. In qualsiasi momento, tutti sanno che possono essere deportati dall’altra parte della frontiera, in Myanmar. Dati nelle mani degli assassini, gli stessi soldati e poliziotti della giunta militare da cui sono scappati.
Per questo oggi è una giornata incredibile. Stasera, è una di quelle sere che capita di rado, o forse non è mai capitata da dopo il colpo di stato militare del 2021. Siamo “tutti” insieme. Un centinaio di persone che di nascosto, dalle strade secondarie, si è riunita per un concerto. Siamo in mezzo alla natura, poco fuori dalla cittadina al confine. Per non attirare attenzione, il luogo dove parcheggiare i motorini si trova letteralmente in mezzo al nulla. C’è una persona ogni cento metri che ti suggerisce dove andare, altrimenti sarebbe impossibile orientarsi. Una volta parcheggiato non si è ancora arrivati. Servono altri dieci minuti di cammino in mezzo alla natura per raggiungere il luogo del concerto. Tutto questo per evitare di essere visti, sentiti, oppure seguiti dalla polizia. L’invito al concerto mi è arrivato per messaggio il giorno stesso. Non sono servite tante parole. C’era solamente una mappa disegnata di fretta per indicare la posizione, l’orario e il nome di chi suona. Tutti lo conoscono.
Appena uscito dal sentiero della piccola foresta che mi circonda, si apre uno spazio relativamente grande. Nel mezzo del nulla è stato costruito un palco per l’occasione e davanti una piccola platea, fatta da una cinquantina di sedie tra un albero e l’altro. Oltre ad esserci una batteria, delle percussioni tradizionali birmane, un piano, le chitarre, e due violini, sul palco sono stati appesi decine di quadri che parlano della resistenza, di villaggi bombardati, di case date alle fiamme, della solidarietà tra i giovani e dei traumi subiti. Moltissime persone hanno lavorato in segreto a questo evento per mesi.
Io mi siedo, e con me, pian piano, altre persone in silenzio trovano il proprio posto. Attorno a me ci sono solamente membri della resistenza. Io sono l’unico straniero. Sono stato invitato perché oltre a conoscere il cantante che si esibirà, è stata proprio la squadra di calcio birmana con cui gioco, insieme a tanti altri volontari, ad organizzare l’evento, a costruire il palco e il parcheggio improvvisato e a gestire gli aspetti logistici della serata. Ma non solo per questo, da anni ormai l’Associazione ha rapporti diretti e alcuni progetti con gli artisti che si trovano al confine. Per me è un privilegio assoluto essere qua insieme a loro.
La platea è al completo, molti sono seduti a terra. Tutti aspettano l’inizio del concerto. I musicisti sono sul palco. È tutto pronto, ma nessuno parla. Minuti interi passano così. Poi si vede arrivare una fila di macchine. È ormai tardo pomeriggio ed è buio. Si sente la tensione nell’aria. I musicisti scendono dal palco e si dirigono verso le macchine per aiutare le persone che pian piano stanno scendendo. Questo non è un concerto come tutti gli altri. È stato fatto proprio per i giovani birmani della resistenza che sono rimasti feriti, amputati dalla guerra. Una fila di combattenti in stampelle, in carrozzina oppure portati in braccio passano davanti al palco per sistemarsi nelle prime file, appena aggiunte per loro. Tutti si alzano ad applaudire il loro arrivo. Giovani a malapena ventenni sono gli eroi della resistenza birmana. Tra di loro, c’è un ragazzo che è stato colpito alla testa. Per lui hanno portato un letto e posizionato in modo tale da poter guardare direttamente il palco. Il dolore è mascherato dai sorrisi, come spesso in questi casi. I musicisti scambiano alcune battute con loro, per poi assicurarsi che tutti si trovino a proprio agio. Gli eroi della resistenza sono arrivati e il concerto può iniziare. Il pubblico si siede e sale sul palco solo una persona, il famoso cantante e regista Ko Lynn Lynn. È lui che tutti sono venuti a vedere.
Prima di iniziare il concerto, Ko Lynn Lynn fa un lungo discorso, ovviamente in birmano. Ringrazia gli eroi per il loro sacrificio e dice che questo concerto è dedicato a tutti loro. Io capisco poco, ogni tanto qualche amico tra il pubblico mi dice di poter tradurre per me. Ma non è il momento per questo. È il momento di ascoltare. Le emozioni non hanno bisogno di essere tradotte.
Nell’arco del concerto, durato circa tre ore, molte persone sono salite sul palco a cantare insieme a Ko Lynn Lynn. Tutti hanno fatto un breve discorso per ringraziare gli eroi per il loro sacrificio, ma non solo. Questo è un concerto per tutta la resistenza. In ogni canzone, in ogni discorso, c’era tanto dolore, ma anche tanta speranza per il futuro. Una serata per darsi forza a vicenda, per stringersi forte, quando il mondo si è dimenticato di loro ormai da anni, o forse non si è mai preoccupato. Stasera non importa. Stasera è sufficiente stare insieme, uno accanto all’altro, a cantare le canzoni scritte nella giungla, in prima linea contro la giunta militare. Canzoni che parlano delle vite di tutti loro, delle persone perse in questi anni, dell’amore e della sofferenza, della mancanza per la propria terra, e di quello che verrà.
Il concerto finisce e in piccoli gruppi ci dirigiamo verso i nostri motorini. Così, ci lasciamo alle spalle la luce, un raro frammento di bellezza e speranza, per ritornare nel buio della foresta, delle strade secondarie del confine. Nella strada di ritorno abbiamo continuato a guardare lo specchietto retrovisore del motorino, per vedere se qualcuno ci seguiva, ci siamo spaventati a vedere in lontananza delle luci rosse di un bar, che sembravano quelle della polizia, probabilmente abbiamo allungato la strada di ritorno, fatto qualche curva in più del dovuto, per essere sicuri di non percorrere lo stesso tragitto dell’andata.
È stato il primo concerto, e forse l’ultimo, organizzato al confine birmano per i feriti, gli eroi, di questa rivoluzione. Io mi sono sentito prima un amico, fortunato di essere tra loro, e poi un intruso in un momento così intimo delle vite dei membri della resistenza.