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GLI AUGURI DI ALBERTINA PER IL 2018

Cari Amici,

l’anno appena iniziato è tutto davanti a noi.

Sarà anche come noi vorremo che sia. Molte cose ci verranno incontro, altre saranno determinate da noi. Da quello che noi faremo, ma soprattutto da come noi saremo. Da quello che vorremo essere, qualunque cosa accada. È quello che noi siamo a cambiare la storia. E quello che siamo insieme la cambia ancora di più.

Questa è la politica. La muove lo spirito.

Aung San Suu Kyi cambia la storia per quello che è, più ancora che per quello che fa. Se l’Occidente avesse questo sguardo, se guardasse a quello che è, alla sua vita, a nessuno verrebbe in mente di mettere in dubbio la sua integrità. Ma quando gli interessi geopolitici ed economici occupano la scena, tutto è possibile. Perfino la saldatura con le convenienze del potere militare interno. E i media conducono il gioco, in questo caso in nome dei diritti umani. Vedere, capire oltre le apparenze. Essere cittadini del mondo vuol dire non essere spettatori di spettacoli allestiti da altri. Bisogna sforzarsi di capire dove e come gira il mondo.

Bisogna sempre farsi delle domande. A cominciare da quella classica: a chi giova? Aung San Suu Kyi vede tutto, comprende, con lucidità e serenità. E serenamente continua la sua missione. Come fa? La sua vita parla da sola. Il popolo è con lei, sa cosa è in gioco. Ci chiedevano se sta bene di salute, è la loro unica speranza. E quindi la loro prima preoccupazione.

Il nostro terzo viaggio annuale di amicizia, tra la fine di dicembre e i primi di gennaio, ci ha portato da lei a Naypyidaw il 2 gennaio. Eravamo 21. Così abbiamo iniziato questo anno. Due ore e mezza insieme, nel soggiorno della sua residenza. Davvero un’amicizia molto grande. E’ venuta sera, e mentre guardavo il buio che entrava dai finestrini in alto mi è venuto in mente quel verso di Callimaco in ricordo dell’amico: “Penso a quanti soli insieme dialogando abbiamo messo a dormire”. Così abbiamo fatto noi, quella sera. Seduti a cerchio, vicini, con il the e il caffè e la torta preparata da Ohmar, che sta lottando con la malattia. Ci ha chiesto del nostro viaggio, le ho detto della Birmania simile all’Italia, dei birmani che all’alba sono già sulle strade, lei dice che le persone hanno in sé cose universali. Siamo raccolti, compresi del momento, ci sollecita a dire.

Marco chiede del ruolo delle religioni, di dialogo o di conflitto. Lei parla a lungo dell’atteggiamento personale, non dobbiamo fare nostri i sentimenti negativi degli altri. Penso alle aggressioni verbali nei suoi confronti mentre lei resta in silenzio. Ricorda le tre negatività del buddismo: l’egoismo, la malevolenza, l’ignoranza. Racconta della conversione al cristianesimo del nonno, della disperazione e poi dell’accettazione della moglie e di come la cosa è stata vissuta in famiglia.

Maria Augusta, di religione Baha’i come Virginia, parla di Religions for peace. Suu Kyi ricorda la preghiera in casa sua a Rangoon alcuni giorni prima dei rappresentanti delle diverse religioni nell’anniversario della morte di sua madre.

Beppe le chiede le sue priorità politiche. La riconciliazione e la pace, la situazione nel Rakhine, la democratizzazione del Paese. Sul Rakhine spiega il piano del governo, a partire dal rientro dei mussulmani dal Bangladesh, verso la fine di gennaio. Parla dello stato di diritto, che esige la verifica dei fatti e dei reati.

Dell’ONU e delle sue organizzazioni, spesso portano aiuti ma non aiutano le persone e i Paesi a costruire lo sviluppo.

Una lunga e profonda conversazione. Le parole escono dalla vita interiore, la vita e la politica sono la stessa cosa, la democrazia è etica e responsabilità. Nessuna accusa, soltanto impegno e responsabilità.

Le chiediamo della visita del Papa. E’ stata molto contenta, dice che ha portato calore. Molti birmani erano per strada ad accoglierlo, non solo cattolici. Tra loro anche noi. Alla fine i nostri doni, ciascuno con un significato. Parlavano dell’Italia e di Parma, e degli studenti di Verdellino. Elisabetta, amica di Giuseppe, le ha consegnato la spongata di Berceto, a nome della sua famiglia. “Ci manca tanto…”, ha detto Aung San Suu Kyi.

Alla fine, abbiamo cantato per lei “O Signore dal tetto natio”, diretti da Gabriella. Che coraggio! Ma il legame con Verdi è per sempre. L’avevamo provato lungo il viaggio, in pullman e negli hotels, in aeroporto. Anche il canto ci ha unito. Sapevamo che cosa significava per lei e per noi. “Ma ci sono italiani che non cantano?”, ha detto alla fine.

In piedi, accanto a lei, le ho recitato, laicamente, la grande preghiera di benedizione della Bibbia (Numeri,6, 24-26) per il nuovo anno. A metà mi ha accompagnato anche lei in inglese, la conosce. Erano i giorni dell’anniversario dell’Indipendenza della Birmania, il settantesimo. E il nostro dell’entrata in vigore della Costituzione. Giorni speciali.

L’ultimo dell’anno eravamo al lago Inle. Con alcuni giovani, la chitarra, i loro canti intorno al fuoco. A mezzanotte hanno mandato in cielo due rudimentali mongolfiere, sono diventate un puntino rosso tra le stelle.

Il viaggio ha continuato la nostra storia, con una intensità crescente. Ieri per la liberazione e la scelta elettorale della democrazia con Aung San Suu Kyi e la Lega Nazionale per la Democrazia, oggi per l’avvio del cammino democratico con il governo da lei guidato. Con i militari ancora con un ruolo politico, e di potere. La nostra amicizia vuol dire condividere con loro la loro condizione, lavorare con loro per cambiarla. Oggi come ieri. Abbiamo visto la Birmania, la sua gente, la sua natura, la sua storia, la sua cultura. Le sue sofferenze, la sua povertà. E i progressi avviati, Rangoon con le strade pulite, le centinaia di autobus nuovi con l’aria condizionata, le nuove costruzioni accanto a quelle fatiscenti. Abbiamo incontrato la Scuola di musica Gitameit, desiderosa di entrare in contatto con il nostro Conservatorio, ci hanno suonato il pianoforte alla maniera birmana, e cantato per noi i canti delle etnie. Siamo tornati al Monastero che conosciamo, abbiamo visto i lavori di sistemazione che lo rendono accogliente per centinaia di bambini, per loro è l’unica scuola.

Ormai in Birmania abbiamo molti amici. Durante il viaggio abbiamo incontrato anche Paolo Colonna, un manager milanese che fa volontariato, e anche padre Livio, un missionario del Pime che opera nel carcere minorile di Rangoon e in giro per la Birmania con i disabili, i malati di HIV, i contadini. Abbiamo cenato insieme nella Casa della Memoria, il luogo dove il generale Aung San durante la guerra aveva il suo quartier generale.

Abbiamo condiviso, con loro e tra noi, la bella e difficile fase che la Birmania sta vivendo, e Martin, la nostra guida birmana, ci ha raccontato come vive e che cosa spera. Marco, del nostro gruppo, è attivista di Amnesty e ci ha aiutato ad approfondire. Matteo D’Alonzo, il numero due della nostra Ambasciata, così ben inserito nella realtà birmana, ci ha spiegato ciò che si vede lì. Un punto di vista diverso da quello che si dice in occidente.

Un viaggio che, come sempre, ci ha profondamente coinvolto.

Condividere, sostenere, conoscere, collaborare. Questa la strada perché la Birmania possa continuare il suo cammino, senza brusche interruzioni. Senza violenza, con responsabilità, con fiducia. l’Italia è su questa linea.

La lunga cena nella casa del Card. Charles Bo ci ha confermato in questo nostro impegno. Ci ha detto che il Papa ha dato a loro dei compiti: lavorare per la pace, per la democrazia, con i giovani. Una grande semina in Asia. Ci ha fatto vedere le due stanze dell’Arcivescovado abitate dal Papa, credo che rimarranno così per sempre. Papa Francesco ha cambiato la loro storia, perché è stato un incontro spirituale che ha coinvolto tutta la loro vita. Con rispetto.

Posso dirvi, per quanto ho imparato fin qui, che solo la vita può governare la politica, e che solo lo spirito costruisce la vita. Dunque, lo spirito costruisce la politica. Il mondo sarà migliore se lavoreremo sui valori universali, semplicemente con noi stessi, con la nostra vita. Gli uni con gli altri. Consapevoli che nella complessità delle cose solo lo sguardo libero da sé può capire e sciogliere la complessità.

Domenica scorsa sono stata a Trento con i fratelli di Giuseppe all’Assemblea Annuale della Federazione delle Scuole Materne della Provincia. Una grande realtà dell’educazione, dell’autonomia, della creatività, del valore istituzionale. Una Italia forte. Lì Giuseppe ha lavorato per venticinque anni, formando insegnanti, genitori, amministratori, progettando scuole e didattica. Una grande semina, che continua.

Con la stessa fiducia guardo oggi all’Italia e all’Europa. Consapevole dei rischi e delle difficoltà, delle nostre grandi debolezze, so che qui è la nostra responsabilità, a partire dalle prossime settimane. Il mondo che sta costruendo il futuro ha bisogno dell’Europa e dell’Italia, non distanti ma vicine, aperte, coese. Determinate a dare nuova vitalità alla democrazia, e uguaglianza e giustizia e pace alla società europea e al mondo. Il nostro voto determinerà queste cose. È tempo di seminare, di costruire.

Come in Birmania.

Ogni mese, al plenilunio, le monache del Monastero benedettino di Santa Cecilia in Trastevere, pregano per la pace in Birmania, con una dimensione interreligiosa. Anche le Clarisse di Lagrimone pregano per Aung San Suu Kyi e per la Birmania.

Si lavora sull’essenziale.

L’Istituto Cervi, in questo tempo di trasformazioni, presidia. La memoria che custodisce è una domanda permanente: che cosa ne avete fatto, di ciò che vi abbiamo affidato con la nostra vita? Credo che il 2018 sarà anche per il Cervi un anno di svolta. Di rinnovamento. Di fronte ai rischi di ritorno al passato, è tempo di Resistenza.

A Tiziana, che le consegnava il simbolo del suo Comune, Collegno, medaglia d’argento al valor

civile, Aung San Suu Kyi ha detto: È importante la Resistenza. I migliori vengono di lì.

Siamo solo all’inizio dell’anno, e della storia futura.

Coraggio!

Con grande affetto, mingalabar.

Albertina

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