Il Card. Mons. Charles Maung Bo a Parma per ricordare Giuseppe Malpeli
Pubblichiamo il testo dell’Omelia pronunciata dal Card. Mons. Charles Bo durante la Messa a ricordo di Giuseppe Malpeli a Parma, presso la chiesa di S. Maria della Steccata il giorno 28 Ottobre 2016.
Cari amici, buona sera!
Oggi siamo qui riuniti per ricordare il nostro grande amico Giuseppe Malpeli che in tante occasioni ha spezzato con noi la Parola ed il Pane attorno allo stesso altare.
Oggi siamo qui riuniti in sua memoria. Sono molto riconoscente a tutti voi che avete condiviso la sua missione, tutti voi parenti e amici.
Per me personalmente è un momento di tristezza. Ricordo ancora il suo sorriso, le sue risate ed il suo grande entusiasmo per la Birmania. Dove entrava portava la luce. Mi ricordo l’ultima volta che è venuto con un grande gruppo, ha riempito la stanza con una forte risata. Non immaginavo proprio che il mio incontro con lui a Roma sarebbe stato l’ultimo.
Ci siamo riuniti qui oggi per piangere la sua perdita. Non sono venuto per predicare un elogio di lutto. Sono venuto a predicare un elogio di gratitudine.
David Brooks, un giornalista di New York, ha scritto un articolo commovente in cui dice: dentro di noi ci sono due sé, un sé che desidera ardentemente il successo, che costruisce poi il curriculum, e l’altro sé che cerca comunicazione, comunità, amore – i valori che meritano un grande elogio.
Sono venuto a predicare quell’elogio della virtù di un uomo semplice, che ha cercato di elevare la sua fragile umanità alla chiamata di Dio. Luca 16:10 dice: “chi è fedele in cose di poco conto è fedele anche in cose importanti”. Giuseppe ha vissuto una vita, fedele alla sua vocazione di essere umano.
Siamo qui per dire grazie per quello che è stato.
Giuseppe è stato per me un amico di immensa compassione. Nel suo amore per la Birmania ha portato molte persone dall’Italia a conoscere il volto della
Birmania. Per sessant’anni, il volto della Birmania è stato il volto di Cristo sulla via della Croce, il volto di Cristo che la Veronica ha incontrato nella quarta stazione della via della Croce. Il viso torturato e insanguinato dallo Stato crudele. Veronica asciuga quel volto. La Tradizione racconta come una umile ragazza contadina abbia avuto abbastanza coraggio per passare tra i crudeli soldati dell’Impero Romano ed asciugare il viso e le lacrime di una vittima innocente.
Giuseppe è stato per noi la Veronica. Giuseppe è stato Simone di Cirene.
Il popolo birmano, ha avuto un lungo cammino della Croce. 50 anni. SO lunghi anni. La croce della schiavitù, la croce dell’oppressione, la croce della discriminazione, la croce della fame, la croce della emigrazione pericolosa.
In quelle lunghe notti di lacrime silenziose, uomini e donne generosi\animati da compassione e raro coraggio ci sono venuti incontro. Come Veronica e Simone di Cirene ci hanno accompagnato.
E Giuseppe era uno di loro. Uno speciale. Egli è stato un fedele compagno per noi. È stato un fedele compagno di Daw Aung San Suu Kyi la nostra Leader quando è stata incarcerata in una prigione inumana. In ltalia fu determinante nella formazione di un gruppo di parlamentari Birmani.
Andare in Birmania era un rischio in quei giorni, incontrare persone dell’opposizione era un rischio, incontrare gente di chiesa era un rischio.
Tuttavia Giuseppe, come la innocente Veronica, non si è lasciato vincere dalla paura. Ha camminato con noi. Egli credeva che colui che ha testimoniato il Venerdì Santo del nostro popolo avrebbe testimoniato anche la nostra Pasqua di Risurrezione.
Noi, come nazione, siamo nel mattino di Pasqua.
Ma Giuseppe ha raggiunto la sua Pasqua eterna. Il buon Samaritano ha concluso la sua missione di misericordia. È tornato al Padre. Il Lazzaro d’Italia è seduto sulle ginocchia di Abramo continuando ad intercedere per i poveri di questo mondo.
Con Maria canta il suo magnificat: il Signore ha fatto meraviglie per me.
Glorifica il suo nome!
Guardando giù dal cielo al mio Paese oggi, Giuseppe sarebbe più felice che triste. Ha visto cadere le nostre catene – abbiamo più libertà, più comunicazione, più attività politica. Il nostro Paese si sta risollevando da decenni di decadimento.
Giuseppe sarebbe felice di vedere che sta avendo luogo la Conferenza di Panglong per la Pace del ventunesimo secolo. Sarebbe felice che molti più giovani del Myanmar hanno la possibilità di studiare. Applaudirebbe e festeggerebbe sapendo che in questo Paese ha avuto luogo un’elezione pacifica. Salterebbe di gioia alla vista di Daw Aung Suu Kyi seduta al tavolo con i Leader mondiali. Ringrazierebbe il Signore perché alcune di queste cose sono puri miracoli in un Paese che lui ha visto provato dalla povertà e dall’oppressione.
Come insegnante da una vita, gioirebbe alla maggiore attenzione data alle scuole elementari e alla nomina degli insegnanti, al miglioramento del sistema educativo.
Tuttavia egli continuerebbe ad essere preoccupato per molte altre questioni.
Piangerebbe alla vista dei numerosi campi profughi nei territori Rakhine e Kachin. Il suo cuore tenero si commuoverebbe alla vista di donne e bambini condannati alla fame mentre l’esercito e i ribelli si stanno facendo guerra.
Egli starebbe ai piedi della croce dei nostri giovani. I nostri giovani, soprattutto negli Stati del Nord, sono crocifissi con cinque piaghe: guerra e sfollamento, droga, traffico umano, saccheggio delle risorse da parte di stranieri e l’ultima ferita è il futuro incerto. Egli piangerebbe alla vista di ragazze, provenienti da famiglie povere, comprate e vendute come merce alla frontiera.
Sarebbe preoccupato per le attività in corso contro i musulmani Rohingya.
Egli esorterebbe i parlamentari a prestare maggiore attenzione alla pace e alla riconciliazione in questo Paese. Sarebbe sconvolto dall’emergere di un gruppo violento di monaci, i 969 monaci pazzi e il popolo violento Ma Ba Tha.
Sarebbe scioccato che il nuovo governo stia andando a rilento nel fare ritornare i rifugiati a casa e per la mancanza di strutture adeguate nei campi profughi. Come cattolico sarebbe sorpreso dal fatto che il governo democratico tace circa il ritorno delle scuole e dei beni appartenenti alla Chiesa Cattolica.
Egli voleva che la Chiesa, che amava profondamente, fosse al fianco del nostro popolo. Come Gesù che ha camminato al fianco dei discepoli di Emmaus, Giuseppe voleva che la Chiesa continuasse ad essere fedele compagna di coloro che non possiedono niente o, come dice il Papa, quelli ai margini.
Ma lui è un grande maestro nella vita e nella morte.
Non avrebbe mai perso speranza nell’umanità. Avrebbe lavorato fortemente per la realizzazione del bene comune come espresso nei due documenti del
Papa: Laudato Sii ed Evangelii Gaudium. Le due ingiustizie che strangolano il futuro dei poveri: la giustizia economica e quella ambientale avrebbero occupato la sua attenzione.
Egli si aspetta che lavoriamo per lo sviluppo del quaranta per cento dei poveri del Myanmar. Egli si aspetta che noi ci adoperiamo per la protezione dell’ambiente, soprattutto nelle aree etniche.
Egli avrebbe gioito che la Chiesa di Myanmar sia profondamente coinvolta nello sviluppo umano dei poveri. Abbiamo terminato il seminario di ricostruzione Nazionale, la pianificazione su cinque settori: educazione; sviluppo umano; sviluppo della donna; Diritti degli indigeni e risposta a livello inter-religioso ai problemi dei poveri.
Lo ricordiamo con gratitudine. Chi vive per gli altri non muore mai! “Chi crede in me, disse Gesù, anche se muore vivrà”. Giuseppe vive nei suoi sogni, nella sua compassione, nel suo amore per i poveri, nella sua partecipazione attiva nel portare in questo mondo la giustizia.
Lui continua a vivere in ciascuno di voi qui riuniti, in ciascuno di voi che fate parte degli Amici del Myanmar, in ciascuno di voi che avete visto e lavorato con Giuseppe.
Il più grande omaggio che si può dare al nostro amico defunto è quello di continuare la sua missione. Sono molto contento e grato di essere stato invitato ad onorare questa grande anima.
Possa la sua memoria continuare ad ispirarci.
Grazie
Cardinal Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon, Myanmar