Myanmar, “furia omicida” in tutta la nazione, impiego di un vasto arsenale e di truppe contro le proteste
Articolo pubblicato il 12 marzo 2021
• L’esame di oltre 50 video mostra uccisioni sistematiche e premeditate con un massiccio ricorso ad armi di guerra
• I soldati coinvolti negli atroci crimini contro le minoranze etniche adesso sono operativi nelle città di Myanmar
• Prove di esecuzioni extragiudiziali e uccisioni su ordine dei comandanti
Una nuova ricerca di Amnesty International ha rivelato che le forze militari di Myanmar, nei confronti di manifestanti pacifici e passanti, fanno sempre più ricorso a tattiche letali e armi concepite per i campi di battaglia.
Attraverso l’esame di oltre 50 video del giro di vite in atto, il Crisis Evidence Lab di Amnesty International è in grado di confermare che le forze di sicurezza appaiono mentre mettono in atto strategie sistematiche e pianificate, tra cui un maggiore ricorso alla forza letale. Molte delle uccisioni documentate equivalgono a esecuzioni extragiudiziali.
I filmati mostrano chiaramente che le truppe militari di Myanmar, conosciute anche come Tatmadaw, utilizzano sempre più armi adatte esclusivamente ai campi di battaglia e non al mantenimento dell’ordine pubblico. Spesso si vedono gli agenti in atteggiamenti irresponsabili, come alcuni che sparano proiettili veri in maniera indiscriminata nelle aree urbane.
“Queste tattiche militari in Myanmar sono tutt’altro che nuove, ma la loro furia omicida non era mai stata trasmessa sugli schermi del mondo intero”, ha dichiarato Joanne Mariner, direttrice del team di Risposta alle crisi di Amnesty International.
“Non si tratta di azioni di singoli militari sopraffatti che prendono delle pessime decisioni. Si tratta di comandanti impenitenti già implicati in crimini contro l’umanità che impiegano le proprie truppe e i propri metodi assassini alla luce del sole”, ha commentato Joanne Mariner.
“Per anni, le minoranze etniche, tra cui chin, kachin, karen, rakhine, rohingya, shan, ta’ang e altri hanno subito le conseguenze più pesanti delle terribili violenze inflitte dal Tatmadaw. Insieme ad altre organizzazioni per i diritti umani, abbiamo chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di ricorrere al Tribunale penale internazionale sulla situazione in Myanmar e assicurare alla giustizia i più alti comandanti del Tatmadaw, tra cui Min Aung Hlaing. Invece, il Consiglio di sicurezza non ha fatto nulla e quest’oggi vediamo le stesse unità delle forze militari aprire il fuoco sui manifestanti”, ha aggiunto Joanne Mariner.
“Le autorità delle forze militari devono mettere fine con immediatezza a questo massacro mortale, calmare la situazione in tutta la nazione e rilasciare tutte le persone detenute arbitrariamente”.
I 55 filmati girati tra il 28 febbraio e l’8 marzo sono stati registrati da persone appartenenti ai media locali e pubblici in città come Dawei, Mandalay, Mawlamyine, Monywa, Myeik, Myitkyina e Yangon.
Secondo il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, il bilancio delle vittime delle proteste al 4 marzo è di 61 persone. Questa stima ufficiale non comprende altre vittime di cui si è a conoscenza, risalenti agli ultimi giorni.
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